Omelia V Domenica del Tempo Ordinario
Domenica 7 febbraio 2021
Basilica di Santa Maria Salome
Veroli
Trasmessa in diretta su RaiUno
Cari fratelli e sorelle,
saluto tutti voi e coloro che ci seguono attraverso la televisione, in particolare gli anziani a casa o in istituto, i malati e coloro che li curano, le famiglie impedite ad uscire per la pandemia. Oggi il Signore si fa vicino a tutti noi come quando entrò nella casa di Simon Pietro e si trovò di fronte un’anziana malata. Così avviene in questo tempo in cui ci sentiamo più deboli e impauriti, come era avvenuto a Giobbe, un uomo sconsolato, colpito all’improvviso dal male fino a perdere tutto. Comprendiamo le sue parole che esprimono affanno, insonnia, dolore. Giobbe vive la consapevolezza che la vita è un soffio e sembra perdere la speranza. In questo tempo difficile, di dolore e di morte, a volte abbiamo avuto le stesse sensazioni di Giobbe - a parte gli arroganti e i prepotenti, sicuri di sé - e abbiamo scoperto di essere fragili, deboli, e che la vita è davvero un soffio. Lo sanno soprattutto i malati e gli anziani e coloro che gli sono stati vicini.
Eppure Gesù non se n’è andato, non è da un’altra parte in questo tempo. Non ci ha abbandonato. Mi sembra di vederlo percorrere le strade delle nostre città e paesi, entrare nelle nostre case, come ci racconta il Vangelo quando percorreva le strade della Galilea ed entrò nella casa di Simone dove incontrò quell’anziana malata. “Subito gli parlarono di lei”, dice il Vangelo. E Gesù “si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva”. Quanta premura e affetto in quel gesto semplice di Gesù. Gesù non rimane indifferente, si avvicina a quella donna e si prende cura di lei. Quel gesto suscitò la domanda di molti altri, tanto che da tutta la città portarono a Gesù i malati perché li guarisse. Si trattava di malati nel corpo e nello spirito. Il male è forte nel mondo, fratelli e sorelle. Lo stiamo vedendo con la pandemia che ci ha colpito, che sta causando malattia, morte, solitudine, povertà. Gesù non sfugge la domanda che viene dalla presenza del male. Si avvicina, accompagna, guarisce! Non dobbiamo avere paura! La prima guarigione che opera Gesù è dalle nostre paure. E poi ci insegna a prenderci cura degli altri, a diventare uno strumento di guarigione.
La guarigione inizia fermandosi, ascoltando, parlando, consolando, non lasciando soli gli altri, e trovando i modi possibili per parole e gesti di affetto e vicinanza. Ognuno di noi ha tante occasioni nella vita e nella sua giornata per essere come Gesù, soprattutto in questo tempo. Tanti lo hanno fatto, moltiplicando la solidarietà e la vicinanza e hanno vinto la paura e per questo sono stati felici, perché “la gioia viene dal dare”. Quanto è bello il gesto di quell’anziana guarita da Gesù, che subito “si mise a servirli”, senza che nessuno glielo avesse chiesto.
La giornata di Gesù non finisce però in quella casa. Il Vangelo dice che al mattino presto egli si alzò quando ancora era buio e si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ecco la forza del Signore, la forza del suo amore: la comunione con il Padre attraverso la preghiera. Chiediamoci: perché non abbiamo la forza di Gesù? Forse la risposta sta proprio qui: preghiamo poco, leggiamo poco la Bibbia, che ci insegna l’alfabeto dell’amore di Dio e ci riveste dei suoi sentimenti. Pregando con i salmi – come facciamo nella Messa – possiamo trovare tante risposte alle nostre domande. Ci consideriamo invece donne e uomini del fare, e facciamo fatica a nutrire il cuore con la Parola di Dio e la preghiera. Per questo a volte la paura e lo sconforto ci prendono il cuore, quasi ci paralizzano.
L’apostolo Paolo ci aiuta ad incamminarci sulla scelta di amore percorsa dal Signore Gesù, partendo dal Vangelo. Paolo sente l’urgenza di comunicare il Vangelo. “Guai a me se non annuncio il Vangelo!”, dice con determinazione. Non basta, cari amici, stare tra noi, sentirsi bene nella propria comunità, crogiolarsi dei propri successi e abbattersi per gli insuccessi, magari giudicando o escludendo gli altri. Papa Francesco parla da tempo di “Chiesa in uscita”. A volte la tentazione è di essere una Chiesa che si accontenta del poco, del già fatto, che non cerca oltre e non crede al cambiamento. Si tratta di un modo di pensare a sé e agli altri ancora troppo chiuso e poco in dialogo, in cui aumentano le distanze, che non sono solo il frutto amaro della pandemia. Il papa ci ha recentemente parlato di fraternità e amicizia sociale nella sua enciclica Fratelli tutti. Qui c’è una via per costruire un mondo nuovo in cui ci sia speranza per tutti: dall’anziano al giovane, dall’italiano all’immigrato, dal povero al ricco. Perché ci si salva solo insieme! La solidarietà di tanti, credenti e non, in questo tempo, manifesta il bisogno di un mondo migliore - e non come quello di prima, come si usa dire – un mondo più umano, più giusto, meno violento, la necessità di vivere per e con gli altri, la ricerca di qualcosa oltre se stessi. Paolo ne era convinto e si fece “servo di tutti, debole con i deboli, tutto per tutti”. È possibile? Certo! Se ascolti e vivi il Vangelo, sarai aiutato ad avere lo sguardo di Gesù che coglie il bisogno, la domanda di senso, di luce, nel cuore degli altri, senza giudicare, senza escludere nessuno, oltre ogni confine e ogni muro. Ecco la via tracciata dal Vangelo che il Signore ci ha lasciato per il cambiamento di noi stessi e del mondo.
+ Ambrogio Vescovo
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Si legga anche l'articolo Il 7 febbraio 2021 la Messa in diretta su Rai1